Contributi omessi e difese anche senza l’INPS

Contributi omessi e difese anche senza l’INPS

La Cassazione, con l’ordinanza n. 11730/2024, garantisce al lavoratore la difesa personale in caso di mancati versamenti.

L’articolo in sintesi:

  • Il lavoratore che sospetti o sia certo di eventuali omissioni contributive, può innanzitutto denunciare i fatti e chiedere l’intervento di INPS e altri enti competenti
  • Ove si sia già determinata una compromissione pensionistica, è prevista la possibilità di agire per il risarcimento del danno e la costituzione di una rendita vitalizia
  • In ogni caso e in ogni tempo, il lavoratore ha diritto all’accertamento della regolarità contributiva, a prescindere dalla chiamata in causa dell’INPS e dalla condanna al versamento

Non è raro che i datori di lavoro omettano di porre in essere, in modo parziale o totale, i versamenti contributivi relativi ai loro dipendenti.

In tali casi il lavoratore ha un evidente interesse personale a vedere rispettata la regolarità della propria posizione contributiva e versata la contribuzione spettante.

Un primo modo per fare valere le proprie ragioni, è quello di richiedere l’intervento degli stessi istituti di previdenza, i quali, anche in quanto titolari effettivi del rapporto contributivo -quello corrente tra istituto e chi è chiamato a versare la contribuzione-, risultano i creditori legittimati a pretendere la contribuzione evasa.

Spesso, in questi casi, gli istituti operano accertamenti e recuperi con i loro funzionari e ispettori, su denuncia del medesimo lavoratore, di un suo familiare superstite o di un soggetto delegato (es. organizzazione sindacale; procuratore; ecc.). L’effetto della segnalazione, oltre che di stimolare l’azione pubblica, è quello di estendere i termini prescrizionali, dagli ora previsti cinque anni a dieci anni. Circostanza non indifferente alla luce della disposizione che non permette il versamento di contribuzione all’INPS e ad altri enti competenti trascorsi i termini della prescrizione.

CONTRIBUTI, PRESCRIZIONI E DENUNCE 
Così l’art. 3. C. 9, Legge n. 335/1995
Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati: 
a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie … . A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti; 
b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.

Trascorsi i termini della prescrizione, la denuncia del lavoratore rischia di non produrre utili effetti, non essendo più possibile l’intervento e il recupero dell’istituto di previdenza. Tuttavia, restano al lavoratore ulteriori strumenti per rimediare al danno contributivo che gli deriva dal non vedersi riconosciuta contribuzione.

Innanzitutto, una volta prodottosi l’evento dannoso della lesione pensionistica, sarà possibile agire con azione risarcitoria prevista dall’art. 2116, comma 2, cod.civ. (“Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro”).

Per fare valere il diritto al risarcimento del danno, tuttavia, occorre che già si sia prodotta la perdita patrimoniale nella sfera soggettiva del lavoratore, sotto forma di non riconoscimento del diritto alla pensione o di un minore trattamento pensionistico.

In presenza di omissioni contributive, l’azione attribuita al lavoratore dall’art. 2116 codice civile per il conseguimento del risarcimento del danno patrimoniale, presuppone che siano maturati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale e postula l’intervenuta prescrizione del credito contributivo. Per cui prima del perfezionamento dell’età pensionabile, in presenza di diritti non ancora entrati nel patrimonio del creditore, sussiste l’impossibilità di disporre validamente della posizione giuridica relativa al diritto al risarcimento del danno pensionistico (cfr. Cass., ordinanza n. 15947/2021).

Nella predetta situazione, in alternativa, è stabilita la possibilità d’azione in forma specifica, come disposta dall’art. 13, Legge 12 agosto 1962, n. 1338. Si tratta, in effetti, della facoltà del datore di lavoro di costituire una rendita vitalizia presso l’INPS (versando la riserva matematica calcolata in base a tariffe determinate con decreto del Ministero del lavoro). Al datore di lavoro, tuttavia, si può sostituire il lavoratore, salvo il diritto al risarcimento del danno.

RENDITA VITALIZIA IN LUOGO DI PENSIONE
Così l’art. 13, L.n. 1338/1962
Ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione, può chiedere all'INPS di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell'assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.
La corrispondente riserva matematica è devoluta, per le rispettive quote di pertinenza, all'assicurazione obbligatoria e al Fondo, di adeguamento, dando luogo alla attribuzione a favore dell'interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita.
La rendita integra con effetto immediato la pensione già in essere; in caso contrario i contributi di cui al comma precedente sono valutati a tutti gli effetti ai fini della assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti.
Il datore di lavoro è ammesso ad esercitare la facoltà concessagli dal presente articolo su esibizione all'INPS di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.
Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all'INPS le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente.

Va osservato come, con la recente ordinanza n. 11730/2024, la Cassazione, abbia confermato l’ampliamento degli strumenti posti a disposizione del lavoratore al fine di garantire il proprio diritto alla regolarità della contribuzione, al fine di evitare il danno pensionistico.

In particolare, con la predetta decisione, S.C. è venuta a confermare che il lavoratore può agire per l’accertamento del diritto ad ottenere il corretto e integrale versamento dei contributi da parte del datore di lavoro in corrispondenza all’effettiva prestazione di lavoro svolta, prima e a prescindere dalla maturazione di qualsivoglia trattamento previdenziale.

Svolgendosi esclusivamente sul piano del rapporto contrattuale, l’azione è rivolta a fare accertare soltanto la debenza dei contributi previdenziali correlati a determinate poste retributive e anche la potenzialità dell’omissione contributiva a provocare danno. A seguito dell’accertamento giudiziale, il datore di lavoro potrebbe infatti chiedere la costituzione di rendita vitalizia o, in difetto, lo stesso lavoratore potrebbe azionare tale domanda in via amministrativa. Tuttavia, come nel caso, spesso nei gradi di merito, non sussistendo un provato danno, si ritiene che neppure sussista un interesse ad agire.

La pronuncia rammenta ora come il lavoratore sia titolare nei confronti del datore di lavoro di un diritto soggettivo alla regolarità della sua posizione contributiva.

Infatti, pure non essendo creditore dei contributi previdenziali, il lavoratore è comunque titolare del diritto, di derivazione costituzionale “all’integrità della posizione contributiva“, la cui lesione reca un pregiudizio attuale (“danno da irregolarità contributiva“), quale comportamento potenzialmente dannoso rispetto alle future pretese pensionistiche.

L’azione del lavoratore volta all’accertamento, anche generico (ma non alla condanna al versamento, che spetta all’INPS), del diritto nei confronti del datore di lavoro, non richiede l’intervento e la chiamata in causa dell’INPS, benché la sentenza possa in seguito dispiegare effetti anche presso l’Istituto.

DIRITTO DEL LAVORATORE ALLA POSIZIONE CONTRIBUTIVA
Così per la Cass., ordinanza n. 11730/2024
Il diritto alla posizione assicurativa si configura come un diritto-mezzo rispetto al diritto-fine della protezione di quegli eventi: il bene che esso protegge (consistenza attuale della posizione assicurativa) è strumentale rispetto alla protezione del bene (soddisfacimento delle esigenze di vita in caso di avveramento del rischio) alla quale sono preordinate le varie disposizioni che disciplinano il complesso meccanismo delle assicurazioni sociali". L'obbligazione del datore di lavoro di versare i contributi dà luogo a due distinti diritti in capo al lavoratore: a) un diritto alla posizione assicurativa, azionabile non appena si verifichi l'omissione contributiva e (nella forma del risarcimento danni, per equivalente o in via specifica) anche dopo che il diritto dell'INPS ai contributi sia prescritto; b) un diritto al risarcimento del danno ex art. 2116, comma 2 c.c., azionabile quando -per effetto della mancata contribuzione, della prescrizione dei contributi non altrimenti riparata, e del verificarsi dell'evento protetto- la prestazione previdenziale, che quell'evento dovrebbe tutelare, risulti in tutto o in parte non più conseguibile.

Articolo a cura di MAURO PARISI – estratto da V@L – Verifiche e Lavoro n. 4/2024

V@L – Verifiche e Lavoro è la prima rivista specializzata in Italia in materia di ispezioni e controllo sul lavoro da parte degli organi pubblici competenti, su lavoro, previdenza, assicurazione e sicurezza.

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