Influencer vs. INPS. Niente spettacolo, ma servizi pubblicitari

Influencer vs. INPS. Niente spettacolo, ma servizi pubblicitari

Lo specifico codice ATECO per gli influencer, previsto dal 1 gennaio 2025, li riconduce al settore delle agenzie pubblicitarie, escludendo la pretesa dell’INPS di inquadrare in via generale i content creators tra i lavoratori dello spettacolo. Circolari e prassi INPS di diverso segno sono perciò prive di fondamento, come i recuperi contributivi in danno di committenti di promozioni ed endorsement.

Contrariamente all’opinione comune, per l’INPS gli influencer (comunque denominati, nelle molteplici declinazioni che assume il fenomeno di comunicazione che li riguarda: “creator”, “content creator”, “talent” “vlogger”, tiktoker”, “gamer”, “youtuber”, “streamer”, “podcaster”, “uploader”, eccetera) sarebbero degli “attori”.

Forte di questa “suggestione” -sebbene non avvalorata da alcuna disposizione di legge e regolamento-, sulle figure e posizioni di molte celebrity l’Istituto ha instaurato un braccio di ferro soprattutto con quanti, a partire da marchi e brand, si affidano a esse a scopi promozionali, avvalendosi del loro richiamo sociale e mediatico.

Una situazione imprevista ed economicamente rischiosa che però, con l’inizio del 2025 -malgrado l’ostinata prassi dell’INPS (cfr. circolari al riguardo)-, sembra finalmente destinata a una fattuale svolta chiarificatrice.

Semplificandone i termini, la questione controversa attiene al dilemma se ritenere o meno gli influencer dei lavoratori dello spettacolo tout court (e, in particolare modo, come detto, degli “attori”: ma talvolta anche “presentatori” ecc.), oppure, dei soggetti dediti a pratiche promozionali e commerciali (i cosiddetti influencer marketing), senza attinenza alcuna al settore dello spettacolo.

Dal punto di vista previdenziale le ricadute appaiono considerevoli ed evidenti, attesa l’applicazione della specifica disciplina contributiva prevista per i lavoratori iscrivibili al Fondo Pensioni Lavoratori dello Spettacolo (FPLS) (cfr. D.Lgs CPS n. 708/1947), nella prima ipotesi; ovvero, nel secondo caso, di quelle attinenti a diverse Gestioni (e discipline) INPS, come la Gestione separata (cfr. L.n. 335/1995) o la Gestione commercianti (cfr. L.n. 662/1996).

La circostanza che i contributi vadano comunque all’INPS non risolve i svariati e notevoli problemi che la presa di posizione dell’Istituto viene a porre.

Il principale dei quali attiene proprio a chi debba essere considerato il titolare dell’obbligo di versare contribuzione all’INPS. Una legittimazione che muta al mutare dell’ambito in cui si ritiene che venga operata l’attività di creator, tiktoker e altri operatori social.

Se infatti gli influencer fossero da considerare alla stregua di “attori”, come accade nelle verifiche dell’Istituto, obbligati ai versamenti della contribuzione sarebbero, innanzitutto, i brand committenti di promozioni ed endorsement. Nella loro azione di promoter autonomi, invece (ma va ricordato come molti tra i maggiori influencer agiscono pure mediante proprie società commerciali), risultano essi stessi chiamati a provvedere ai dovuti versamenti di contributi.

L’idea dell’INPS al riguardo appare semplice, ritenendosi che gli accostamenti tra prodotti e immagini personali dei creator vengano sempre a costituire “spot pubblicitari”, in forme forse nuove, ma, a parere dell’amministrazione, non dissimili rispetto a quelle che siamo abituati a vedere in televisione.

Tuttavia, si tratta di una rappresentazione dei fatti non corretta e fuorviante, atteso che gli influencer rappresentano e interpretano… solo se stessi, con interventi e immagini della loro vita privata o di loro opinioni personali, pubblicati (postati) sotto forma di storie, vlog, pov, eccetera, e seguiti da milioni di aficionados (i cd. follower) iscritti ai loro account, profili e canali personali.

Il seguito social di quanti compaiono sulle più note piattaforme (instagram, tiktok, youtube, ecc.) viene ritenuto un appetibile trampolino per accostamenti e accreditamenti commerciali di prodotti e marchi. Per cui i brand si affidano agli influencer, ricompensando endorsement e sponsorizzazioni per il trainante effetto promozionale che ne consegue.

Nulla che attenga a “spettacolo”, “spot pubblicitari” e caroselli, dunque.

Tanto trova conferma anche alla luce delle peculiari previsioni (non destinate agli ordinari “spot pubblicitari”) del Regolamento Digital Chart sulla riconoscibilità della comunicazione commerciale diffusa attraverso internet dell’Istituto di Autodisciplina della Pubblicità (IAP), come richiamato dal suo “Codice di autoregolamentazione”.

Il Regolamento Digital Chart stabilisce, infatti, che

Nel caso in cui l’accreditamento di un prodotto o di un brand, posto in essere da celebrity, influencer, blogger, o altre figure simili di utilizzatori della rete – siano essi umani o virtuali – che con il proprio intervento possano potenzialmente influenzare le scelte commerciali del pubblico (di seguito, collettivamente, “influencer”) abbia natura di comunicazione commerciale in quanto frutto di un accordo con l’inserzionista per il quale l’influencer riceve un corrispettivo (quale ad esempio: denaro, beni, inviti, fruizione di servizi, o altro), deve essere inserita in modo ben visibile, in ogni contenuto diffuso in rete, con le modalità di seguito specificate per ogni tipologia di contenuto, la dicitura “pubblicità”, oppure “advertising”.
In alternativa, può essere inserita una delle seguenti altre diciture:
– “promosso da … brand” oppure “promoted by … brand”;
– “sponsorizzato da … brand”, oppure “sponsored by … brand”;
– “adv/ad+ brand”

A fronte dei chiari connotati emergenti, pertanto, i medesimi influencer, i marchi, le agenzie pubblicitarie e le associazioni di categoria, sono apparsi ben decisi a rivendicare la natura genuinamente commerciale delle attività di celebrity e di idoli dei follower, contro il loro preteso inquadramento nel settore dello spettacolo.

A favore della natura di comunicatori ed editori di messaggi commerciali, del resto (con ogni effetto quanto agli stabiliti oneri, ai sensi del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi, D.Lgs n. 208/2021), in tempi recenti si era già autorevolmente espressa, per esempio, l’AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni).

La quale, con la Delibera n. 7/24/CONS del 10.01.2024 (Linee-guida volte a garantire il rispetto delle disposizioni del Testo unico da parte degli influencer), ha in particolare evidenziato che

Per influencer si intendono quei soggetti che svolgono un’attività analoga o comunque assimilabile a quella dei fornitori di servizi di media audiovisivi sotto la giurisdizione nazionale … [con la] fornitura di contenuti, creati o selezionati dall’influencer, che informano, intrattengono o istruiscono e che sono suscettibili di generare reddito direttamente in esecuzioni di accordi commerciali con produttori di beni e servizi o indirettamente in applicazione degli accordi di monetizzazione applicati dalla piattaforma o dal social media utilizzato … l’influencer ha la responsabilità editoriale sui contenuti, la quale include il controllo effettivo sulla creazione, sulla selezione o sulla organizzazione dei contenuti medesimi.

Anche il Consiglio dell’Unione europea, con le proprie conclusioni del 14 maggio 2024, ha sottolineato la natura promozionale delle attività e figure di influencer che

hanno spesso un intento commerciale e collaborano con attori commerciali attraverso diversi modelli di business a scopo di lucro ... [quali operatori che] pubblicano contenuti sui social media o sulle piattaforme per la condivisione di video attraverso i quali hanno un impatto sulla società, sull'opinione pubblica e sulle opinioni personali del loro pubblico

Per il Consiglio dell’Unione europea, lungi dal potersi riconoscere i connotati del lavoro dello spettacolo e della recitazione attoriale, vi è da sottolineare come per gli influencer corra “un rapporto con il loro pubblico che è basato sull’autenticità”. Dunque, l’interesse dei follower per le vite private e opinioni personali dei creator appare ben differente da quello rivolto ad attori ed artisti.

La connotazione commerciale di attività degli influencer è stata anche riconosciuta dalla giurisprudenza di merito. Infatti, il Giudice del lavoro di Roma, sentenza del 4 marzo 2024, n. 2615, è giunto a riconoscere addirittura la natura di agente di commercio per quanti promuovano stabilmente un brand.

L'influencer che promuove online e in via continuativa i prodotti di un'azienda, deve essere inquadrato come agente di commercio. Non è necessario che gli influencer si rivolgano direttamente ai propri follower per incoraggiarli all'acquisto per essere considerati agenti di commercio. L'importante è che la sua attività sia finalizzata alla conclusione degli affari per i quali viene remunerato e che essa sia svolta in modo stabile.

La vocazione commerciale degli influencer è stata del resto confermata, tra l’altro, dalla costituzione di un’associazione di categoria di rappresentanza collettiva, denominata ASSOINFLUENCER, affiliata alla rete nazionale di Confcommercio professioni, per la quale, secondo la mission (cfr. https://confcommercioprofessioni.it/associazioni-territoriali/assoinfluencer/),

l’attività professionale degli influencer è quella che li identifica quali utenti attivi su un qualsiasi social media, ove questi godono di una particolare popolarità nei confronti di un numero elevato di followers, al punto da poterne influenzare il pensiero su determinate tematiche o scelte commerciali tramite la creazione di contenuti di semplice intrattenimento oppure di caratura professionale, artistica, culturale e/o divulgativa, grazie ai quali sono in grado di ottenere un ritorno di visibilità oltre che di natura economica.

A fronte di tante riprove e richiami “commerciali”, a partire dal 1° gennaio 2025, a conferma dell’effettiva natura dell’attività degli influencer, è stata annunciata e prevista l’istituzione di uno specifico codice ATECO, 73.11.03, dedicato appositamente all’attività professionale di influencer marketing e alla cosiddetta creator economy. Va rammentato come il codice ATECO 73.11 è quello previsto per le “agenzie pubblicitarie”, mentre i codici 73.11.01 e 73.11.02 sono invece destinati rispettivamente a “ideazione di campagne pubblicitarie” e “conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari”.

Il suddetto codice ATECO (come noto, la combinazione alfanumerica che identifica una attività economica nel suo effettivo settore di appartenenza), che è stato adottato per gli influencer dall’ISTAT -in collaborazione tra Eurostat, Ministero delle imprese e del Made in Italy, Associazione Italiana Content & Digital Creators, ASSOINFLUENCER e Confcommercio Professioni- rappresenta, tra l’altro, l’ineludibile soluzione fattuale al dilemma dell’inquadramento previdenziale (senz’altro diverso da quello previsto per il lavoro nello spettacolo) degli operatori social, capace di mantenersi nel pieno rispetto dell’attuale stato della normativa. E, in particolare, proprio di quella che regolamenta lo spettacolo, la quale mai ha considerato -tra le figure di lavori e lavoratori del settore, tassativamente indicati dal D.Lgs CPS n. 708/1947- gli influencer e il fenomeno mediatico che li accompagna.

Prassi e circolari dell’INPS che vogliano in via preconcetta e generale ascrivere influencer marketing e content creator al mondo dello spettacolo e ai versamenti al relativo fondo FPLS, appaiono prive di qualunque legittimo significato qualificatorio, non potendosi presumere un fondamento che non sussiste nei fatti (cfr. nuovo codice ATECO) e nel diritto.

Rimane chiaramente sempre ammessa la possibilità di provare, in modo circostanziato e specifico, singole “occasioni” di lavoro nello spettacolo. Ma ciò potrebbe riguardare, tanto il caso di un influencer marketing, quanto quello di un ingegnere iscritto a Inarcassa, che occasionalmente facessero attività ex D.Lgs CPS n. 708/1947.

Articolo a cura di MAURO PARISI e BARBARA BROIStudio Legale VetL

Approfondimento del 20.12.2024

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