INPS: l’interruzione di prescrizione “al buio”.
Sempre più spesso, alla luce del rischio di perdere definitivamente la contribuzione, come per conforme Cassazione, l’INPS ricorre alla prassi di interrompere “al buio” -ovvero senza neppure avere ancora definito i propri accertamenti- la prescrizione del proprio diritto di credito. Tuttavia senza gli effetti pretesi.
Risulta incontestabile che l’INPS abbia il diritto, come gli altri Istituti di previdenza, di ricevere e recuperare la liquidata contribuzione di propria competenza.
Per fare ciò, l’amministrazione ha cinque anni di tempo da quando è sorto l’obbligo del versamento contributivo (vale a dire da quando, a seguito di precedente denuncia -o di accertamento d’ufficio che se ne sarebbe dovuta presentare una regolare-, si è determinato l’onere della corresponsione).
Tanto è stabilito all’art. 3, comma 9 della Legge n. 335/1995, per il quale le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria a decorrere dal 1996, si prescrivono in “cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti”. Quindi, solo la denuncia del lavoratore -nonché di soggetti delegati e di eredi- di omissioni contributive da parte del datore di lavoro o del committente (e purché tanto avvenga entro i cinque anni dal sorgere dell’obbligo: cfr. SS.UU. Cassazione, sentenza n. 15296/2014) può fare divenire decennale il termine di prescrizione.
Dal momento in cui sorge l’obbligo di versamento, in definitiva, si gira la clessidra e inizia a scorrere il tempo entro cui l’INPS è tenuto a recuperare quanto gli spetta.
Per evitare che il trascorre del tempo conduca a una perdita del diritto alla contribuzione, come avviene per tutti i diritti di credito, è necessario procedere a un’interruzione dei termini.
L’attività che interrompe il correre della prescrizione, facendolo decorrere nuovamente, anche per l’Istituto, è quella descritta dal codice civile, al suo articolo 2943, cod.civ.. Per cui, oltre che dalla notificazione dell’atto introduttivo di un giudizio,
la prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore e dall'atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.
Ai sensi dell’art. 1219, cod.civ., materialmente l’interruzione della prescrizione si compie con l’invio e la ricezione di una specifica richiesta scritta.
Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto.
Nel recuperare i propri crediti e la contribuzione che gli spetta, l’INPS è spesso costretto a compiere una corsa contro il tempo, venendo non di rado a intimare i contribuenti sul filo del rasoio della scadenza.
Però, non si tratta solamente della consueta apprensione del creditore per il rischio che si vanifichi il proprio diritto. Infatti, il decorso del tempo che consente di rilevare la prescrizione del diritto alla contribuzione, non possiede solo natura preclusiva, bensì addirittura estintiva.
Alla luce dell’ordinaria prescrizione del diritto, infatti, risulterebbe sempre possibile per il debitore che non opponga la relativa e puntuale eccezione, operare la corresponsione di quanto dovuto, senza diritto successivo alla ripetizione dei versamenti (cfr. art. 2940: “Non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto”).
Il trascorre del termine di prescrizione in materia di contributi e premi, invece, determina un ostacolo giuridico insuperabile, non solo alle pretese e richieste da parte dell’amministrazione, ma pure allo stesso versamento spontaneo della parte che si riconoscesse debitrice. Tanto è vero che il superamento del termine di prescrizione deve essere rilevato d’ufficio dai Tribunali, anche a prescindere dall’eccezione, più o meno specifica, del contribuente.
La natura estintiva della realizzata prescrizione del diritto alla contribuzione è ritenuta e confermata in modo pacifico dalla giurisprudenza. Come per esempio fa la recente Ordinanza n. 28821, 8 novembre 2024, della sezione lavoro della Cassazione.
E’ consolidato il principio secondo cui, nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti – ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995 – con la conseguenza che, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva (non già preclusiva) – poiché l’ente previdenziale creditore non può rinunziarvi -, opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio; l’ente previdenziale non può neanche accettare i contributi prescritti e se li accetta il pagamento, anche spontaneo, è indebito e chi ha versato può ripetere la somma (ex plurimis, Cass. n. 13820 del 2023).
Alla luce di quanto esposto (e considerato che, fino al 30 giugno 2026, si dovrà ancora tenere conto della sospensione della prescrizione per 311 giorni, quale riflesso della pandemia Covid: cfr. Circ. INPS 10 agosto 2021 n. 126), appare comprensibile l’affanno che attanaglia funzionari e sedi INPS allorquando sono in corso verifiche e accertamenti di presunte omissioni contributive -soprattutto se lungi dall’essere definite-, concernenti periodi risalenti e a rischio prescrizione.
Per esempio, se nel corso del gennaio 2025 si indagano potenziali omissioni contributive del marzo 2019, risulta evidente (pure a tenere conto della predetta sospensione dei termini, ex art. 37, D.L.n. 18/2020 e art. 11, D.L.n. 183/2020) che la prestazione della contribuzione del periodo -ove manchi l’accertamento e, soprattutto, la contestazione e messa in mora immediate del contribuente- rischia di non potere più essere più pretesa.
Per evitare il pericolo che il tempo necessario a compiere le opportune verifiche (si parla talvolta di accertamenti ispettivi che durano anche anni, molti anni) vada a inficiare la possibilità di ottenere la contribuzione, si sta affermando in modo sempre più ampio la prassi delle sedi dell’Istituto di interrompere “al buio” (ciò senza neppure avere ancora la certezza che il credito esista e, comunque, a quanto ammonti) la prescrizione di potenziali e non ancora definiti diritti.
Nel corso delle verifiche, ispettive e d’ufficio, prima della chiusura degli accertamenti e della contestazione definitiva di illeciti (per cui evidentemente l’INPS stima occorra ancora tempo), vengono pertanto inviati atti interlocutori e generici d’interruzione della prescrizione.
Tali atti sono variamente denominati, quali “diffida al pagamento”, “interruzione di termini prescrizionali”, “verbale interlocutorio degli accertamenti”, eccetera, e recano tentativi di messa in mora, riferiti a potenziali crediti e incerti titoli. Per esempio, essi possono essere del tenore seguente:
l’Inps, con la notifica del presente verbale, redatto e sottoscritto dai propri ispettori a mezzo dei quali agisce, diffida fin d’ora la società destinataria alla regolarizzazione di tutte le inadempienze in corso di accertamento che abbia posto in essere nel periodo decorrente dalla sua costituzione. Intima il pagamento di tutta la contribuzione dovuta all’Inps, che sia stata omessa o evasa, per violazione o elusione delle norme in materia di obblighi contributivi del datore di lavoro e/o del committente, nell’importo la cui definitiva quantificazione riserva al completamento dell’attività accertativa, in relazione alla documentazione che il destinatario del presente verbale dovrà rendere disponibile agli ispettori procedenti, come intimato. Valga il presente atto quale esercizio del credito contributivo e ai fini interruttivi della prescrizione.
Oppure, con i medesimi non puntuali contenuti, le intimazioni dell’Istituto possono emergere nei modi sotto indicati:
Nell’attesa di definire l’accertamento ispettivo in oggetto e la raccolta di ulteriori informazioni necessarie, anche ai fini dell’eventuale applicazione delle previsioni relative agli effetti liberatori dei versamenti già posti in essere dal fornitore di manodopera, ai sensi dell’art. 38, c. 3, del D.Lgs. 81/2015, si diffida codesta società al pagamento dei contributi previsti per legge, oltre alle sanzioni civili conseguenti, secondo l’aliquota contributiva prevista e in base all’inquadramento aziendale, entro giorni 30 dalla notifica della presente diffida.
La presente diffida vale come costituzione in mora, ai sensi ed effetti dell’art. 1219 del codice civile, con interruzione del decorso della prescrizione relativa al diritto alla contribuzione da parte dell’Istituto, secondo la previsione dell’art.3, c. 9, L.n. 335/1995, anche agli effetti dell’art. 2943 del codice civile.
Si tratta di tutta evidenza di tentativi di interruzione della prescrizione che non possono sortire gli effetti di legge, mancando della stessa perimetrazione del debito considerato, che neppure permette al debitore di attivarsi con cognizione di causa, al fine di evitare, o comunque risolvere, il generico stato di soggezione in cui lo si vorrebbe fare trovare.
A conferma dell’inidoneità degli atti di prescrizione generici e “al buio”, si pronuncia la Suprema Corte, la quale osserva (cfr. ex multis, sentenza del 30.11.2006, n. 25500) come risulti priva di efficacia interruttiva la riserva di agire che, in quanto solo ipotetica, non può in alcun modo equipararsi a un’intimazione o a una richiesta di pagamento.
Del resto, la crescente e attuale prassi risulta collidere anche lo stesso orientamento ufficiale dell’INPS. Il quale pone da tempo risalente le stringenti condizione a cui devono rispondere le verifiche dei propri uffici per potersi dire di essere pervenuti a una valida interruzione della prescrizione del diritto ai contributi.
In tale senso, si esprime con nettezza la Circolare INPS n. 55/2000, per cui
gli atti interruttivi della prescrizione, perché siano validi, richiedono sempre la quantificazione del credito, o comunque l’indicazione di tutti gli elementi che consentano al debitore di pervenire alla sua quantificazione. Ne consegue che frasi generiche tipo “si interrompe ogni termine prescrizionale per i contributi eventualmente non versati” ovvero i verbali di accesso in uso presso alcune sedi, in mancanza degli elementi per la quantificazione delle omissioni, non sono validi e non possono ritenersi atti idonei a interrompere i termini prescrizionali.
In definitiva, basterà rifarsi alla stessa “memoria storica” dell’Istituto per opporsi efficacemente alle sue pretese creditorie, escludendo pregio e validità alla recente e capziosa prassi dell’interruzione di prescrizione “al buio”.
[L’articolo è anche sulla rivista “Sintesi” dei Consulenti del Lavoro di Milano, nonché sul sito dell’ANCL]
Articolo a cura di MAURO PARISI – Studio Legale VetL
Approfondimento del 27.01.2025
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