Novità NASpI. Il rischio di distorsione della norma
In tema di disoccupazione l’INPS ha iniziato a offrire interpretazioni restrittive alla nuova disposizione sui requisiti di legge.
L’articolo in sintesi:
- Le legge n. 207/2024 ha introdotto il nuovo requisito minimo di tredici settimane di contribuzione, per quanti vengono licenziati dopo essersi dimessi
- Tra i lavoratori a cui sono stati opposti i limiti del nuovo art. 3, D.Lgs n. 22/2015, vi sono coloro che avevano due rapporti di lavoro e sono stati licenziati nell’ultimo
- Occorre però evitare interpretazioni meramente formali della nuova disposizione che, come nel caso, non attengono affatto alla funzione antielusiva per cui è stata pensata
La Legge 30 dicembre 2024, n. 207, ha introdotto un’importante novità in materia di indennità di disoccupazione, stabilendo un nuovo requisito di accesso alla prestazione, in presenza di recessi volontari da pregressi rapporti di lavoro.
In particolare, a partire dal 2025, l’articolo 1, comma 171 della predetta norma ha integrato l’articolo 3 del D.Lgs. n. 22/2015 -al suo comma 1, con la lettera c-bis)-, prevedendo che, ai fini dell’ottenimento della cosiddetta NASpI, tra il licenziamento e le precedenti dimissioni volontarie da un altro rapporto di lavoro, corrano almeno tredici settimane di contribuzione.
I REQUISITI PER L’INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE Così per l’art. 3, D.Lgs n. 22/2015
La NASpI è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:
a) siano in stato di disoccupazione ai sensi dell'art. 1, c. 2, lett. c), D.Lgs 181/2000;
b) possano far valere, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione;
c) possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione.
c-bis) con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2025, possano far valere almeno tredici settimane di contribuzione dall'ultimo evento di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato interrotto per dimissioni volontarie, anche a seguito di risoluzione consensuale, fatte salve le ipotesi espresse. Tale requisito si applica a condizione che l'evento di cessazione per dimissioni sia avvenuto nei dodici mesi precedenti l'evento di cessazione involontaria per cui si richiede la prestazione.
La logica antielusiva della disposizione appare evidente, intendendosi evitare che assunzioni e licenziamenti di comodo conducano a effetti indebiti e onerosi per l’amministrazione.
La previsione di legge così concepita, tuttavia, pure nella sua apparente chiarezza, rischia di creare indebiti effetti distorsivi nella sua applicazione, con riferimento a situazioni che non parrebbero annoverabili tra quelle effettivamente richiamate dalla disposizione.
Si prenda per esempio il caso di un lavoratore con due rapporti di lavoro part-time di lunga durata. Si ponga che, a un certo punto, i primi giorni del 2025, il lavoratore si dimetta volontariamente da uno dei due impieghi, proseguendo con l’altro. Tuttavia, trascorse solo che cinque settimane, accade che venga licenziato dal secondo impiego, trovandosi, quindi, senza lavoro.
Proposta domanda di Naspi da parte del lavoratore, oramai disoccupato involontariamente, l’INPS respinge la richiesta con la causale prevista nei casi in cui manchino i previsti versamenti dopo le precedenti dimissioni volontarie (“Assenza 13 settimane di contribuzione dall’ultima cessazione volontaria”), come da Messaggio INPS n. 420 del 03.02.2025.
NASPI E REQUISITO DELLE 13 SETTIMANE Così per il Messaggio INPS n. 420/2025 Laddove è soddisfatto il requisito delle 13 settimane di contribuzione nel periodo di osservazione come sopra individuato (dalla data di cessazione volontaria del rapporto di lavoro a tempo indeterminato alla data di cessazione involontaria), si procede alla determinazione della durata e della misura della prestazione secondo gli ordinari criteri, prendendo a tal fine quindi in considerazione il quadriennio di riferimento; la novella legislativa, infatti, è da riferire esclusivamente alla ricerca del requisito contributivo delle 13 settimane laddove la posizione dell'assicurato presenti le condizioni di cui al precedente paragrafo del presente messaggio. Qualora, invece, non fosse soddisfatto il requisito delle 13 settimane di contribuzione per l'accesso alla NASpI, la relativa domanda deve essere respinta con il seguente motivo di reiezione di nuova istituzione “Assenza 13 settimane di contribuzione dall'ultima cessazione volontaria”, che a breve sarà presente in procedura di gestione della prestazione NASpI.
La predetta decisione di rigetto assunta dall’Istituto, parrebbe richiamare puntualmente, in effetti, la previsione dell’art. 3, D.Lgs n. 22/2015.
Infatti, nel caso sopra considerato, stando a un’interpretazione strettamente letterale del detto testo normativo, la decisione dell’INPS di non concedere la NASpI nel caso di cessazione del secondo rapporto di lavoro (tra i due part-time originariamente in essere), in via di formale astrattezza e generalità, sembrerebbe attagliarsi puntualmente alla fattispecie (le dimissioni e poi il licenziamento, dopo cinque -e non tredici- settimane).
In verità, però, la disposizione considerata non sembra essere stata concepita per ipotesi di pluralità di rapporti di lavoro del medesimo lavoratore, contestualmente in essere, di cui l’uno sopravviva all’altro.
Va infatti osservato come, nell’ipotesi contemplata, il rapporto di lavoro per cui andrà considerato il riconoscimento della NASpI sia unicamente quello intercorso con il secondo datore di lavoro (per nulla rilevando il primo, già oggetto di dimissioni), presso la quale il soggetto richiedente era occupato da ultimo e senza soluzione di continuità nel tempo.
Per cui, giustamente ritenendo sussistere assenza di interruzione del rapporto previdenziale tra lavoratore e Istituto, neppure potrà sostenersi esistere il difetto dei requisiti di cui all’art. 3, comma 1, D.Lgs 22/2015, utili ai fini del riconoscimento del beneficio della NASpI.
Vale a dire che, nella fattispecie del doppio rapporto di lavoro, al fine di evitare ricostruzioni perplesse della disposizione, non correttamente potrà essere applicata da parte dell’INPS, senza gli opportuni adeguamenti di “prospettiva”, la previsione di cui all’art. 3, comma 1, lett. c-bis, cit. D.Lgs n. 22/2015.
Ragione per la quale, in un caso come quello proposto, il lavoratore, alla luce della lesione del proprio diritto e dell’effettiva ratio sottesa all’intervento operato dal Legislatore, potrà fondatamente impugnare in via amministrativa e in sede di istanza di autotutela (cfr. delibere INPS nn. 8 e 9 del 2023) il provvedimento di diniego dell’INPS.
Articolo a cura di STUDIO LEGALE VETL – estratto da V@L – Verifiche e Lavoro n. 2/2025
V@L – Verifiche e Lavoro è la prima rivista specializzata in Italia in materia di ispezioni e controllo sul lavoro da parte degli organi pubblici competenti, su lavoro, previdenza, assicurazione e sicurezza.
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